Under 30 (dei miei stivali)

Under 30 (dei miei stivali)

Questo è un post palloso. Serissimo. Noioso. Senza glitter, senza arcobaleni. Se volete divertirvi andate altrove. Qua stasera c’è polemica. Qua stasera si parla di una condanna: l’under 30. Io sono over 30, quasi nel bel mezzo del cammin della mia vita. Questa cosa mi sta rovinando le nottate e i dolci sogni di mio mini pony. 

I sogni sono oramai un gozzoviglio di colloqui andati benissimo ma purtroppo cerchiamo una max 29 con decennale esperienza. Per un lustro, cazzo! Lo dico nel sogno eh, non da sveglia. Sogni di cv strappati ancora prima di metter piede fuori dai negozi. Sogni di gattini che sbucano da ogni angolo, bellissimo! Ora smetto di farmi la tinta e faccio la gattara. Poi mi sveglio e mi rendo conto che è tutto dannatamente vero! Under 30 pieni di figli, under 30 che festeggiano anni di matrimonio, under 30 che si lamentano del lavoro, under 30 che ti danno lezioni di vita stressati dal lavoro fuffa e dai weekend. Ecco, gli ultimi meritano la menzione speciale “bella la vita eh?”. Ma che ne sapete, di quando ad un certo punto il negozio dove lavorate chiude per sempre e voi avete il culo per terra. Voi che sentenziate frasi tipo: ma perché non provi li dove spennano polli? oppure li a fare i pacchi sotto Natale? Di che ti lamenti pagano bene! Ah si? E perché non ci vai tu? An no, tu non puoi perché lotti per un mondo migliore. Scusami e grazie, a me piace questo mondo di pupù, preferisco grattarmi e goderelomelo. Ma dal vostro pulpito la vita è una figata, si lo è. Vi invidio. Poi quando ne avrete 34 e il potenziale datore di lavoro vi chiede se siete sposate, se volete figli, se ne farete ci facciamo una bella risata insieme quando conoscerete la disoccupazione. Il mostro di cacca.

Che poi si, si cerca, mi pagassero per cercare lavoro sarei ricchissima, si fa qualcosa pagato una miseria a 90 giorni, ma va benissimo! 

Chi si lamenta quando non si vergogna nessuno a proporti lavori da fame tanto per non stare a casa. Premetto, ogni lavoro è onorevole, ma se lo faccio e a fine mese ci vado sotto no. Per di più neanche mi piace. Eh no. Avete provato under 30, avete finito l’università che sono 10 anni che stracciate i maroni con la tesi? Non vale dire che date ripetizioni di pallavolo.

Cari i miei coetanei nella stessa barca, è vero che dobbiamo reinventarci, dobbiamo coltivare le nostre passioni, dobbiamo andare avanti e godere del presente. Godere del fatto che siamo vivi. Respiriamo. Godiamo del fatto che prima o poi, noi vecchi trentacinquenni troveremo pane per i nostri denti. Intanto leggiamo molto, non perdiamo il contatto con la natura, amiamo le persone, gli animali, immaginiamo un futuro felice con la persona amata accanto, vicina. Immaginiamo di viaggiare, vedere posti nuovi, mangiare cose nuove, vedere volti, persone, occhi nuovi. Immaginiamo di poterlo fare, e di poter capire che siamo fortunati, perché non c’è niente di più bello di poter ancora scoprire e non sentirsi mai, mai, arrivati. Nessuno arriverà mai. Anche chi crede di averlo fatto. Siamo tutti in viaggio continuo, mentalmente e fisicamente. Tutto si muove, mai smettere di essere appassionati. Ad un certo punto le cose buone arrivano. Fidiamoci dell’intuito. Non sbaglia. Io mi lamento e mi lagno. Un bel po’, sono anche molto brava a covare rancore,  sono anche una persona normale, mica Romina Power. Ma so anche che il mio intuito non sta sbagliando. Non sta sbagliando nel farmi vedere le cose reali, i valori reali, i sentimenti reali, l’amore. 

Quindi voi under 30, avete solo più culo, noi più esperienza. Ma non temete ci arriverete anche voi. È una minaccia? No. È un augurio, la vita troppo facile poi ve la mette nel di dietro mentre fate i fighi agli eventi molto alternativi. Lo so perché sono stata under 30 anche io.

Post inconcludente? Forse, ma chissenefrega.

Una notte serena

Una notte serena

Ecco. Di notte. Sempre.

Mi auguro una notte serena.

Una notte in cui mi corico e dormo. Voilà. 

Invece no. Tutto si palesa.

Le pecore che saltano stataccionate, i mostri, Babadook, la morte nera, l’uomo nero, la fine imminente del mondo, i compiti di russo, la morte vera, la ciccia di troppo, i capelli bianchi, i duecentocinquantamilacorsi che vorrei fare, il teletrasporto che non c’è, il brutto tempo nel week-end (merda), la sigla di Twin Peaks, l’ultimo abbraccio che non ti ho dato, i sensi di colpa per tutto, i sensi di colpa per tutti, il mio cranio pieno di cose da dire fare baciare lettera testamento, il gatto che fa la cacca quando sto per chiudere tutto, lo pulisco domani. No, adesso.

Ma perché tutti sti post sull’insonnia? ma che ne so. Perché non riesco a dormire e scrivo di notte? Mi sa. Non potrei partorire un Great Expectation o un bel romanzone da premio Strega? Un bel polpettone da rigonfiarsi le tasche di ego e di quattrini? No, a me piace fracassarvi la vita notturna, se io non dormo, neanche voi dovete dormire: come i gatti. 

Aspettate.

Forse io credo di essere un umano ma sono un gatto. Allora tutto si spiegherebbe. Ho sempre sonno, sono irritabile e cattiva, sono coccolona e faccio le fusa, ho sempre fame e faccio gli scattini mentre dormo, parlotto anche. Ditemelo però, risolverei un problemone! Si beh, non corro di notte per la casa. Non cado in piedi, anzi. Però mi piace stirarmi. 

Facciamo un patto, io cerco di capire a sto punto se sono umano o felino. Voi mi aiutate, ne va anche della mia ripetitività sulle vostre bacheche. Fate voi. Miao.

E adesso?

E adesso?

Primo maggio. Festa dei lavoratori. La notizia arriva secca, anche se non esattemente un fulmine a ciel sereno come sei mesi fa. Mari è partita. Non ci ha salutato, neanche lei. Forse non lo avrebbe fatto comunque. Lei con la sua cicca tra le dita, avrebbe detto magari il suo inconfondibile “ciao!”. Non poteva più aspettare, doveva andare da Kiki, sei lunghi e sofferenti mesi senza di lui, suo figlio. Il suo cuore aveva incominciato a non battere più da quel dannato giorno di ottobre. Ha resistito, è rimasta con noi con tutte le sue forze fino alla fine, finché ha potuto. I suoi occhi hanno brillato ancora qualche volta, ma la luce in fondo non era più la stessa. Quella grande sofferenza che ti ha trasformata ci ha lasciato tutti increduli. Ma come è possibile? Questa cosa non ha senso! Mancheranno i tuoi occhi, il tuo bellissimo viso, il tuo sorriso, la tua fermezza, la tua testardaggine, la tua grande personalità. Entrare in casa tua è percepire la tua anima, tutto parla di te, il tuo senso estetico, i colori accoglienti di un nido curato fino all’ultimo, quasi maniacalmente fino a quanto il tuo corpicino ne ha avuto le forze. Quando ero piccola e i miei genitori mi dicevano che saremmo venuti a trovarvi o che sareste venuti voi, per me era una festa. La felicità, per anni ho pensato che fossimo parenti. Le vacanze insieme, le liti con Kiki, le ore a divorare libri, mi sembrava impossibile che leggessi così tanto! Quando sono diventata più grande ti raccontavo, tu mi ascoltavi. Mai un giudizio, mai una parola detta per cortesia, solo sincerità, cruda. Insomma, manchi già. Solo tre giorni, ma intensi. Il tuo ricordo è così forte e la tua presenza così palese, così viva che tutto è sembrato più dolce. Rivederti nelle tue sorelle e nei tuoi fratelli. Somiglianze, piccoli dettagli, sguardi, occhi. Tu c’eri e ci sarai sempre. La serenità che regnava dopo la tua partenza era incredibie. Sappiamo che ora tu sei ritornata dal tuo Kiki, ora stai bene, ora state bene. Un’anima sola nel cuore di tutti noi. Ciao Mari.

Two

Two

Ecco. 

Due.

Due anni. Cazzarola, già? Nostalgia canaglia.

Sono due anni che sei partito? Ma ou! Ho perso il filo. Un attimo. Devo realizzare. Ah si, solito modo, dai prepara che andiamo al mare. Invece ti sei fatto il bagaglio da solo. In via del.tutto eccezionale. Fregate. Chissà se hai trovato tutto. I costumi li hai trovati? Ci ho pensato poi dopo. Il mistero di ogni partenza. Ma si non importa. Le sigarette non le hai prese intanto, magari hai smesso di fumare. Ci tenevo tanto.

L’elaborazione del lutto è qualcosa di personale, qualcosa di unico, mistico, (in)condivisibile. Sulla carta sarà un anniversario, una data. Nulla di speciale insomma. Nel cuore due lunghissimi e intensissimi anni. Due anni che non ti vedo. Incredibile se penso che ci sono persone che scelgono di non vedersi.

Due anni che non sento la tua voce, che non vedo il tuo sguardo. I tuoi occhi che sorridono furbi quando vogliono nascondere qualcosa.

Due anni che non mi dai il regalo del mio compleanno, la sera prima, impaziente come un bambino. Andavi di la, poi arrivavi col tuo occhietto furbo e mi labciavi quasi il pacchetto, toh’.

Due anni che dopo pranzo non ti preparo il caffè. 

Due anni che dopo cena non ci mangiamo due tarallucci inzuppati nel vino.

Due anni che non andiamo a fare colazione al bar. Viziosi. Vergognosamente viziosi. 

Due anni che non ti guardo.

Due anni che non ti vedo sul divano mentre guardi la partita. 

Due anni che non ti osservo per cercare di capire dove va la tua mente. Il tuo sguardo assorto ultimamente assente, chissà dove viaggiavi, a cosa pensavi.

Ogni giorno ti penso, ogni giorno mi domando se sono stata una brava figlia e se pensi che io sia una buona persona. Non lo sono. Ma so che la felicità esiste, è tra mie mani e ogni tanto mi sfugge.

Due anni durante i quali ho spesso dimenticato di sorridere, facendo soffrire le persone che mi amano. 

Come si fa, mi sono chiesta. Come si fa ad accettare? Si fa. Si accetta. Si va avanti con le proprie forze. Con fatica. Con passione, nelle lacrime di gioia e di dolore. 

Si mantiene vivo il ricordo della tua anima che ogni giorno si manifesta nel cuore, nel cervello, nello spirito.

Si ricorda. Dall’inizio alla fine.

Le storie d’amore non finiscono mai e nascono dal primo sguardo.

Breve riassunto di una notte insonne. Anche oggi si dorme domani.

Che poi uno pensa di avere un tempo infinito davanti a se. Che poi finisce che ci si permette il lusso di rimandare.Un sorriso. Un abbraccio. Un bacio. Una risata. Una testata. Una riverenza. Una penitenza. Una carezza. Un pugno. Una carezza in un pugno. Viviamo in un mondo di emoticons, ma di emozioni non ne sappiamo un cavolo. Adesso ci insegnano che tutto deve essere estremamente controllato. Ho letto da qualche parte che ora basta usare i cuori nelle chat. Ma basta cosa? Ne abusiamo e perdono di valore, dicono loro: i luminari della contemporaneità. Certo. Allora non parliamo più perché in mezzo al buono, di minchiate nell’aria ne volano a tonnellate. Io di cuori ne uso a palate. E appena posso li trasmetto a voce, di persona. Con un bacio. Un abbraccio. Ma non scherziamo. Non si può vivere in un mondo, già pieno di sterco per conto suo, e controllare queste emozioni. Chi si commuove, chi piange, chi ha voglia di ridere a crepapelle chi è emotivamente vivo non è per forza un debole. Un inadatto ad un mondo di pescicane. Pinocchio, quel poveretto di legno vestito da tirolese, ne ha passato un bel po’ di tempo nella pancia di sto pesce. Non era solo, era li, in quel posto stretto e angusto col suo babbo. Perché gli voleva bene e pur pensando di non saper nuotare si è buttato a mare per trovarlo, era un ciocco di legno! Tutto invece deve essere allineato perfetto, secondo i sacri canoni dei manuali del saper vivere. Tutto nudamente esibito o tutto nascosto e blindato.

Ci sono giorni invece in cui è obbligatorio correre sotto la pioggia perché è bellissimo e perché magari poi fa freddissimo e perché magari poi ci si fa una doccia calda. Ci sono giorni in cui la vita ti obbliga a farlo e dovrebbe anche darti un bel calcio in culo per invogliarti. Dobbiamo rieducare, rieducarci ai sentimenti autentici. Sfogarli, urlarli, bisbigliarli. Urlare ai concerti, piangere dopo un libro. Piangere di gioia e piangere di sofferenza. Accarezzare un gatto. Correre con un cane. Non rimandare a domani. Farlo. Subito. Sbloccare il chiavistello arrugginito che non ci fa dire ti voglio bene, ti amo, grazie, buona giornata. Tutti quelli che incrociamo sul nostro cammino, che sia ad una cena, che sia in metropolitana, certamente hanno bisogno di un sorriso e forse neanche lo sanno. Che presuntuosi siamo a parlare del domani. Il presente è già passato e bisogna abituarsi ad acchiapparlo al volo, nel flusso incessante della vita, del traffico, del lavoro, della folla, dei vaffanculo, dei cretino cosa passi se ho il verde, in mezzo ad una pista da ballo. In questo momento ci è stata concessa questa di vita, usiamola al meglio. Questa vita. La prossima si vedrà. 

Qui. Ora. Dire. Fare. Baciare. Osare. Rischiare. 

A proposito di collera. Breve guida per non mandare giù i rospi, respirare senza batticuore e non far ingrossare le vene del collo.

In questi ultimi giorni mi sono resa conto di quanto sia difficile gestire un banale social network, Facebook. Più  volte mi sono imbattuta in post provocatori o in risposte “attaccabrighe”. In passato sono caduta spesso in tranelli del genere, con botta e risposta sterili, che portavano solo ad un patetico teatrino di offese e paroloni esagerati. Stamattina un ultimo esempio. Commento con “bellissimo” un video postato da un amico. Un tizio che io non conosco risponde. Io rispondo con un de gustibus, lui, non pago, continua a ribattere. A quel punto mi fermo e penso: ma che diavolo vuole questo qua? Potevo sotterrarlo di insulti o ignorarlo. Ho scelto la seconda via, che poi è  stata la più  saggia, ovviamente. Dopo questa breve storia triste, insignificante in sé, ho riflettuto sul tema della rabbia, del rancore e della cattiveria gratuita per il gusto di. Ho pensato che non c’è da stupirsi se i genitori decidono di non far fare i compiti ai figli, se mandano lettere minatorie agli insegnati, se per strada trovi bambini viziati e adulti arroganti che non conoscono parole come grazie, prego o scusi. Tornerò no, non c’entra. Entro in alcuni negozi e ti trattano come se fossi Cenerentola quando persino i topi la chiamavano Cenerella, non mi stupisco se per strada viaggiano macchine-clacson, per un rosso, per un’auto che si spegne, per un rallentamento. Nulla viene perdonato. Le persone hanno bisogno di rilassarsi, spesso per cause esterne che loro malgrado devono sopportare. Mi chiedo però: ma cazzarola, ogni volta che sono nervosa/o è  così  necessario scaricare le proprie frustrazioni in modo così violento. Con persone sconosciute? Per motivi futili? Io sono la prima che a volte fracasso le scatole, ma cerco di non fare morire dentro chi mi sta vicino, gli altri non è  che vivano sull’arcobaleno dei Mini Pony! Non è facile, lo so. Lo so bene. Lo so benissimo. Ma in che mondo stiamo vivendo? Tutto diventa rabbia. Niente è costruttivo. Siamo tutti dei numeri che ci rapportiamo ad algoritmi e non sappiano nulla. Siamo tutti impegnati a venderci nel modo migliore possibile. Dobbiamo avere le skills, dobbiamo saper stare a tavola con Obama e consorte e mangiare cavallette e ragni nel posti più sperduti. Fermi un attimo. Piedi per terra. Tutto serve, tutto fa brodo. Adesso aprite la finestra, fate attenzione alle cimici, e guardate fuori. C’è  un mondo fantastico inesplorato, creativo, dove la gente non mette il suv in doppia fila, dove ti chiedono scusa se ti urtano passandoti accanto, dove addirittura non ti strombazzano al verde se non scatti come Valentino Rossi. Queste persone esistono, non ne Incontrate?  Non importa, prendete esempio lo stesso. Tutto vi ritornerà. Si chiama Karma.

Come illuminarsi, piangere glitter, vedere i MiniPony, essere felice e altre cose vitali.

Come illuminarsi, piangere glitter, vedere i MiniPony, essere felice e altre cose vitali.

In questo attesissimo decalogo  voglio affrontare il tema della felicità.  Il raggiungimento. Il mantenimento e la perdita con uno starnuto.

1 Non pensare troppo, soprattutto alla sera. Alla sera si stringe la gola. Si affollano i pensieri e le nostalgie si sovrappongono caoticamente. Respirate.

2 Sorridi sempre. Anche se parli al telefono. Una frase pronunciata con il sorriso fa effetto arcobaleno. Non ci riesco spesso, a volte la Stefania iraconda non si trattiene. Ma questa è un’altra storia. In questo post devo fare vedere  che ho in pugno la situazione. Sempre.

3 Se piangi, piangi glitter. I glitter sono molto belli da vedere e il tuo pianto non sembrerà troppo lagnoso.  Dove li prendo i glitter? Vi chiederete. Non lo posso dire. Però  in mancanza ne ho ancora un casino attaccati al sedile della mia macchina dopo aver portato la mia amica vestita da sposa. Comunque piangere è un’arte.

4 Non essere invidiosa di nessuno. Solo invidia sana, ma poca perché  poi anche quella ci prende la mano. Non essere invidiosa soprattutto di chi vuole che tu lo sia.se non si riesce li un bel vaffanculo ben piazzato. Ci si illumina anche se ogni tanto ne lasciamo uscire uno.

5 Viaggia. A piedi, in macchina, in treno,  in bus, in aereo, in nave, con la testa.  Viaggia sempre. Non fermare il flusso dei sogni a costo di sembrare ferma. Non smettere di desiderare di vedere posti nuovi. Viaggiare così non costa nulla. Attenzione a non abusarne, altrimenti subentra la frustrazione. Cercate a questo punto una fonte di guadagno, i soldi servono almeno per prendere il biglietto.  Viaggia, parti verso nuove mete, verso braccia che ti aspettano, non smettere di preparare valigie.

6 Soldi.Servono. C’è  poco da fare. Trova il modo di farne abbastanza per poter soddisfare i bisogni superflui.Sono venale, lo so. Non è  vero che i soldi non aiutano, chi ha inventato sta cosa venga a dirmelo in faccia. Ne parliamo con calma. Respiro. Con calma.

7 Avere uno o più  gatti. Più gatti, più  fusa, più coccole.

8 Leggi, scrivi, balla, canta, disegna, sfoga la tua energia e la tua creatività. Non ti fermare. Non ascoltare giudizi. Nessuno cammina nelle tue scarpe. Nessuno conosce i perchè della tua vita.

9 Ama e prega. Prega per realizzare i desideri tuoi e delle persone che ami. Illumina la tua strada. Illuminerà anche quella di quelli che camminano con te.

10 Sentiti unica e sarai unica. Difficilissimo, impossibile a volte. Io  ci riesco ogni tanto. Grande palestra di vita, grande allenamento. Lucida sempre lo specchio in cui ti guardi ogni giorno. Vedersi belli non basta mai. Faticoso. Difficile. L’ho già  detto,  scusate.

Applicate con pazienza le regole e forse sarete felici. Ah, siate anche pazienti. Molto. Niente arriva subito. Niente arriva quando e come lo volete voi. Arriva. Non incaponitevi.

E adesso vola, mio Mini Pony!

Read a book

Tranquilli, non scrivo in inglese questo pezzo. Potrei, un giorno, magari, forse farlo in russo. Questo pezzo avrei anche potuto chiamarlo 30 #2 ma in realtà è uno spin off, più o meno. Leggere fa bene. Anima corpo spirito. Vorrei essere una di quelle che legge due libri a settimana. Non ci riesco, non tutto mi appassiona così tanto e non tutto, diciamocelo, merita. A volte non si riesce a leggere per pigrizia, canaglia! La non lettura di un libro riconosciuto universalmente fico, può causare seri problemi di autostima. Per anni ho cercato di leggere Cent’anni di Solitudine. Niente. La morte. La noia. Non capivo un cavolo. Ho letto le prime pagine trilioni di volte. Alla fine ho pensato, sai che c’è? Vai a cagare,  quando vorrai io sarò qui. Non ci crederete, dovevo dare l’esame di arte contemporanea e stavo dando di testa, prendo il libro e lo leggo tutto d’un fiato. Mi ubriaco letteralmente. E mi segano all’esame. Chissenefrega.  Lo ridò e prendo 21, chissenefrega un po’ meno ma intanto ho letto quel libro e il prof era una vecchia ciabatta, frustrata, puzzolente e coi buchi. A volte si fa fatica a leggere, siamo così impegnati dal web che ci dimentichiamo l’odore della carta stampata. E soprattutto il piacere infinito che da’ rovistare tra le bancarelle e nelle librerie. Momenti assorti fatti di odori e di colori. Di polvere e di librai vecchissimi. La libreria perde questo fascino, tutto è  suddiviso per bene. Il concetto però non cambia. Cercare, annusare, trovare, regalare, dedicare, mettere sul comodino. Immergersi in vite strambe, in luoghi magici e lavorare di fantasia. Non so perché  ho scritto questo, non sono una lettrice provetta ma lo diventerò, però  adesso vado A Pranzo con Orson e non vedo l’ora di sentire un po’ di gossip. Lui mangia come un bue e piano piano sta divorando anche me. Buffa ‘sta vita.

30

Ho 30 anni.Non è vero,  33.Non è vero,  quasi 34

Nell’arco dell’ultimo anno sono cambiate  molte cose. Non proprio dal 18 settembre dello scorso anno. Diciamo dalla scorsa primavera.  La mazzata è  arrivata con la morte di papà.  Troppo presto, troppo giovane, troppo d’impatto. Troppo. Bastava addormentarsi nel sonno e invece no. In quel periodo la mia personalità non è  diventata bipolare. In quel periodo la mia personalità  è  diventata tripolare, quadripolare,  pentapolare. Incappavo in situazioni assurde e persone ancora peggio. Incappavo in una vita che non conoscevo. La vita senza un genitore è una roba assurda, una roba talmente assurda che ancora oggi quando mi succede qualcosa di bello penso: adesso chiamo papà  e gli racconto. Si, col cavolo. Quindi adotto il sistema spirituale e ci parlo. Difficoltà ad elaborare, si dice. Normale, credo. Insomma, non ho scoperto l’acqua calda. In questo ultimo anno dall’essere considerata una sorta di sorellastra di Cenerentola, sono fiorita come Venere quando emerge dalla schiuma (addirittura) e mi sono ritrovata  cambiata. Piacente. Donna, oserei dire. In questo ultimo anno, anzi un po’ di più, sono incappata nella classica persona che ti cambia la vita, io ovviamente non me ne accorgo e ci metto un po’ di mesi e tante botte sui denti. Ma lui era sempre li. Andava e veniva. C’era. C’è  stato, con grande discrezione. Si è introdotto di soppiatto in quel gran casino di aperitivi e serate che era la mia vita. Mi piaceva, era bello, con i suoi ricci scuri, i suoi abbracci protettivi. Non capivo. Imbarazzo. Certo, era un uomo vero! Esemplare difficilissimo da scovare. Per farla breve, che tanto vi siete già  annoiati tutti, volevo o dirvi di aprire la visuale a 360°, vedere tutto. Approfindire, conoscere. Spesso il meglio non lo riuscite a vedere e ve lo perdete come babbei Per la prima volta nella mia vita sono felice. Sono felice di svegliarmi al mattino e avere un dolce buongiorno da dare. Da lui ho imparato un sacco di roba, abbiamo discusso ancora di più,  ho visto lati di me che neanche sapevo esistessero. Oh! Mica è perfetto, è pur sempre un uomo ! Però mi ha cambiato la vita, stimolato la conoscenza, stimolato la mia persona. Mi da cosigli, è onesto. Ogni tanto vado giù,  ma tendo la mano e lui mi prende, mi tira su, mi sistema, mi strapazza mi rimetto a posto il colletto e riparto. A volte piango (si, insomma, a volte) ma riparto. Ci provo, lo faccio. Ricadono, ripiango e lui è lì pronto con il cerotto per le sbucciature. Un anno che non voglio cambiare, un anno che mi ha insegnato a gestire la distanza. Non viviamo vicini, a volte è più complicato, ma folks, lontana o vicina che sia, una relazione matura in base alle persone, non in base ai chilometri. Questa è la lezione che ho imparato. Vale per tutto. Mi sento bene perché  vivo il presente. Non cambierei mai quello che ho. Col cavolo. 

Ma le tartarughe piangono?

Ma le tartarughe piangono?

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Ieri mi è  successo un fatto strabiliante . Stavo percorrendo una statale appena fuori Torino a velocità sostenuta,  quando vedo una cosa attraversare.  Oddio un gatto, un cane, un topo, un armadillo,  una lepre, un formichiere!  No, troppo lento, una tartaruga! Rallento  perché se avessi deviato avrei causato un incidente. C’era traffico, era l’ora di punta, le passo sopra facendo attenzione alle ruote. Guardo nello specchietto retrovisore e la vedo ancora lì, giuliva a compiere l’impresa. Tiro un sospiro di sollievo  Uno davanti a noi si era già fermato pochi metri più avanti, mi fa cenno ok con la mano e corre verso la Ruga gigante.
Era una bestia bellissima, verde, di quelle che vinci alle giostre. Chissà quanti anni aveva, fatto sta lei che era cresciuta a dismisura. Aveva gli occhi truccati di rosso, le unghie lunghe e lo sguardo serissimo e severissimo da vecchia maestra. Quello che più mi ha colpito però, è  stato un fatto particolare: questo ragazzo aveva preso in mano la vecchietta e lei continuava a muovere le zampe continuando a camminare. A lei non importava se sotto ci fosse un prato o la strada. Lei continuava nella sua missione imperterrita. Aveva deciso quel viaggio, quel cambiamento e continuava. Chissà se camminava da 1 ora o da 10 giorni, un po’ mi dispiace averlo interrotto ma sarebbe sicuramente morta schiacciata. Magari voleva morire, non so. Però ho apprezzato la caparbia e l’ambizone. Poi, ripartendo salutandola come una vecchia amica ora in buone mani, ho pensato:  ma le tartarughe piangono mai? Insomma, è partita, non aveva il becco di un quattrino,  sicuramente ha lasciato altre rughe a casa,  si sarà commossa? Oppure quelle zampette che continuavano ad andare, erano il segnale che qualcuno la stava aspettando e lei aveva fretta! Noi abbiamo impedito la realizzazione di un sogno. Senza volerlo, per proteggerla. Nella macchina di questo tizio che la portava nel suo giardino, avrà pianto? Non lo so, io so che la mia speranza è che lei riparta alla volta dei suoi desideri, che magari vivevano nella rotondona dall’erba incolta li davanti. Che ci riesca e che ci mandi una cartolina. Perchè era seria, ma aveva capito il nostro punto di vista. Un misunderstanding che capita a chiunque. L’importante è capirsi. Spero che ci mandi una cartolina della sua nuova vita, spero, guardandola di vedere una luce nei suoi occhi, una luce che brilla, non l’occhio severo e in fondo triste che aveva ieri. L’occhio brillante, della lacrima felice. Perché per piangere di felicità, secondo me bisogna prima imparare a piangere per davvero. Ho perso il filo, ah no! Volevo dire che io in questo momento sono una tartaruga. Felice. Più giovane.